Chiacchieriamo di cosa abbiamo voglia di condividere e cosa no
...oltre a idee, strategie e appuntamenti!
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Dovrei iniziare questa newsletter con un “Mi spiace per l’assenza di queste settimane”, ma la verità è che la mia assenza è stata scelta, ho scelto di impegnare le ore e l’attenzione che dedico a questa pubblicazione per fare altro.
Così può suonare un po’ brutto, ma la verità è che durante il mese di aprile ho lavorato davvero molto a dei progetti arrivati all’improvviso, tanto urgenti quando bellissimi, così ho scelto di dedicare il poco tempo libero (poco rispetto ai miei standard) che rimaneva in attività lontane dal computer!
Chi mi conosce sa che non sono proprio il tipo per cui lo show deve continuare a tutti i costi, in passato l’ho fatto e ne pago ancora le conseguenze, quindi invece di scrivere ho viaggiato, da sola e con amiche, letto tantissimo, depennato esperienze dalla mia bucketlist su Notion e… non ho condiviso quasi nulla!
E su questa ultima frase vorrei riflettere insieme.
Nelle scorse settimane c’è stata a Mantova la Biennale di Fotografia Femminile e in un certo modo - che adesso vi racconto - sono stata parte del progetto di Irene Ferri “Couldn't share that”.
In un mondo dominato dal fascino dei social media, il progetto esplora le paure inespresse intorno alle vite complesse e difficili di creatori di contenuti, influencer e persone che desiderano coltivare una comunità online, per lavoro o per passione.
Alimentato dalla paura di perdere follower e supporto, molti di noi si tratteniamo dal condividere i colori non filtrati delle proprie vite, temendo sia il rifiuto che lo sguardo onnipresente e scrutinante del "Grande Fratello" digitale che brama rivelazioni intime.
Era ottobre 2023 quando leggo la newsletter di Irene Ferri all’interno della quale invitava la comunità a condividere con lei quelle storie che non ci sentivamo di esprimere online.
In quel momento ero sola e felice, assorta nell’osservare il mare in un angolo di costa sarda.
Era forse un martedì mattina di un giorno feriale e io, grazie al culo infinito che mi sono fatta negli anni (scusate il francesismo), potevo scegliere di non essere davanti a un computer in un ufficio, ma davanti al mare della Sardegna con nelle orecchie la mia playlist del momento.
In quel momento mi sono resa conto che “non mi andava di condividerlo”.
Non lo condividevo non per una questione di massimi sistemi e profonda spiritualità - io, la natura, il tempo, lo spazio, la consapevolezza infusa dall’alto… - ma perché non avevo voglia di riceve indietro quel fastidioso qualunquismo fatto di: “bella la vita, e invece io…” “Tu si che sei fortunata”, etc…
Quindi ho deciso di rispondere al form di Irene e condividere con lei queste mie parole:
Ci sono stati, e ci sono ancora, momenti in cui vorrei condividere il mio stare bene, essere seduta in spiaggia ad ascoltare musica in cuffia, senza alcun pensiero, vorrei condividere il risultato che sono riuscita a raggiungere di “stare nello stare” e magari parlare dell’importanza di non fare nulla, ma non me la sento.
Vorrei condividere ciò che ho imparato: l’importanza di questi momenti in cui stai e basta, ma trovo i social respingenti o non pronti a questa vita non per forza sempre performativa.
I pensieri sono diversi. Non lo faccio perchè:
- mi sento in colpa: io sono in spiaggia e non sotto le bombe solo per fortuna, per la fortuna di essere nata in questa parte di mondo. Come posso pensare di condividere il mio “stare bene” con tutto quello che sta succedendo?
- perché mi sentirei additata come quella fortunata che può stare al mare a godersi il dolce far niente in un qualsiasi giorno lavorativo di ottobre, dovrei affrontare un pubblico che vuole che io viva come sbagliato il mio stesso “stare bene”.
- perché se questi giudizi dovessero arrivarmi (e non limitarsi a essere un pensiero di chi osserva) mi sentirei in dovere di spiegare la mia vita, le decisioni complicate, le rinunce fatte. Spesso le mie scelte non sono state più facili di quelle fatte da chi mi critica. Dovrei giustificare la mia vita davanti al tribunale mediatico e non lo trovo giusto.
Il progetto di Irene Ferri associava poi a ogni condivisione un suo scatto, una foto che va a svelare gli strati di silenzio che circondano argomenti come il peso delle decisioni sull'aborto, il disagio dell'invecchiamento, i segreti custoditi dell'orientamento sessuale, le lotte con l'ansia e il panico, il profondo pozzo di esaurimento, il viaggio personale attraverso la spiritualità e le ombre del lutto.
Oggi, a distanza di mesi e di riflessioni, mi rendo conto di quanto sia sempre più necessario, per tutti, uno spazio protetto in cui condividere senza timori - e forse è proprio per questo che siamo davanti alla fine dei social, ma questa è un’altra storia - uno spazio in cui possiamo creare una comunità virtuale più empatica e comprensiva, dove non dobbiamo costantemente temere di condividere le nostre verità e ciò che accade nelle nostre vite private.
Questa la fotografia che Irene ha scelto per accompagnare il mio pensiero.
Qui trovi il bellissimo progetto: https://www.ireneferri.com/couldnt-share-that
Ciao, sono Elisa! Volevo salutarti e dare il benvenuto ai nuovi iscritti a questa newsletter.
Oggi ti parlo di “Cosa abbiamo voglia di condividere e cosa no”, ma questa pubblicazione è molto versatile e non riesce a stare nei paletti di una sola area di interesse, quindi aspettati di tutto.
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Da leggere
Vi consiglio il libro “Chi dice e chi tace” di Chiara Valerio che ho letto praticamente in un pomeriggio e che ho amato nella sua inaspettata facilità di lettura.
Chi conosce i libri di Valerio sa quanto siano complessi, quanto spesso ci si ferma, si torna indietro, si prendono appunti…
questo non è così, è un romanzo, quasi giallo, che si legge in modo molto scorrevole, ma che, se si ha voglia di indagare tra le righe, permette di soffermarsi, qua e là, e approfondire gli accenni a riflessioni più profonde in pieno stile “Chiara Valerio”.
Da ascoltare
Per rimanere sul libro di Chiara Valerio ti consiglio la presentazione che ha fatto al circolo dei lettori e che trovi qui.
In questi giorni ho anche recuperato “Veleno”, lo so, è uscito da una vita, ma ci sono arrivata solo adesso, e direi che visto lo spessore del tema, va bene così.
Per qualcosa di più leggero vi consiglio l’intervista di Stefano Nazzi a Tintoria, l’ho adorata e la sto consigliando a tutti gli amanti di “Indagini”. Ho riso molto!
Da Wave alla Community
Intro per le persone nuove: Wave è lo spazio virtuale di formazione e mentoring nel quale seguo libere professionisti e imprenditrici per tutta la parte del loro lavoro più legata alla comunicazione, al branding e all’avvio di nuovi progetti e linee di business.
Wave ha una sua newsletter dedicata, molto più orientata al lavoro rispetto a questa e alla quale puoi iscriverti qui, qui troverai solo qualche appuntamento a eventi online o dal vivo
Eccoci con la nostra agenda del mese di maggio dedicato al Personal Branding
Giovedì 9 Maggio - ore 11:00
In questo incontro lavoreremo sulla comprensione di cos’è per te il Personal Branding e cosa vuoi ottenere dalla tua Brand Identity.
Giovedì 16 Maggio - ore 11:00
Sessione Strategica: passiamo dal Personal Brand al Personal Brand-ING
Giovedì 23 Maggio - ore 11:00
Taylor Swift e Personal Branding
…direi niente da aggiungere!
Giovedì 30 Maggio - ore 11:00
Wave Circle: un momento per raccontare alla community e ricevere feedback, consigli e nuovi punti di vista
Trovate il calendario sempre aggiornato anche nell’Area Riservata:
https://wave-community.com/area-riservata/
From web with curiosity
Una questo sito per generare le tue emoji!
8 modi insoliti per aumentare le tue entrate se sei una persona pigra
Let's talk about what we feel like sharing and what we don't
I should start this newsletter with a "I'm sorry for my absence these past weeks," but the truth is, my absence was intentional. I chose to allocate the time and attention I usually dedicate to this publication elsewhere.
It might sound a bit harsh, but the reality is that during the month of April, I worked intensely on some projects that arose suddenly. They were as urgent as they were beautiful, so I decided to spend the little free time (little compared to my usual standards) I had on activities away from the computer! Those who know me are aware that I'm not the type to believe that the show must go on at all costs. I've done it in the past and still face the consequences. So, instead of writing, I traveled, alone and with friends, read a lot, ticked off experiences from my bucket list on Notion, and... shared almost nothing!
And on this last point, I'd like us to reflect together. In recent weeks, the Mantova Female Photography Biennale took place, and in a certain way - which I'll now tell you about - I was part of Irene Ferri's project "Couldn't share that."
In a world dominated by the allure of social media, the project explores the unexpressed fears around the complex and though lives of content creators, influencers and people that want to cultivate an online community, for work or passion.
Fueled by the apprehension of losing followers and support, many of us hold back from sharing the unfiltered hues of their lives, fearing both rejection and the omnipresent, scrutinizing gaze of the digital "Big Brother" that hungers for intimate revelations.
It was October 2023 when I read Irene Ferri's newsletter, in which she invited the community to share with her those stories we didn't feel like expressing online. At that moment, I was alone and happy, absorbed in observing the sea on a corner of the Sardinian coast. It was perhaps a Tuesday morning on a weekday, and thanks to the incredible luck I've built up over the years (pardon the colloquialism), I could choose not to be in front of a computer in an office, but in front of the sea of Sardinia with my current playlist in my ears.
At that moment, I realized that "I didn't feel like sharing it." I didn't share it not because of some grand philosophical reasons or profound spirituality - me, nature, time, space, the enlightenment from above... - but because I didn't want to receive back that annoying commonality made up of: "life is beautiful, and here I am..." "You're so lucky," etc.
So, I decided to respond to Irene's form and share these words with her:
There have been, and there still are, moments when I would like to share how good I feel, to be sitting on the beach listening to music on headphones, without any thought, I would like to share what I have been able to achieve of "being here and now" and maybe talk about the importance of doing nothing, but I don't feel like it.
I would like to share what I have learned: the importance of these moments where you just be, but I find social media repelling or not ready for this life that is not necessarily always performative.
The thoughts are different. I don't share it because:
- I feel guilty: I am on the beach and not under the bombs just by the luck of being born in this part of the world. How can I think of sharing my "being well" with all that is going on?
- because I would feel pointed at as the lucky one who can be at the beach enjoying sweet nothingness on any working day in October. I would have to face an audience that wants me to experience my own "being well" as wrong.
- because if these judgments were to come to me I would feel compelled to explain my life, the complicated decisions, the sacrifices made. Often my choices have been no easier than those made by those who criticize me. I would have to justify my life before the media court, and I would not find that fair.That "something else" is the unexpected;
what you're experiencing is generative listening.
Irene Ferri's project then paired each sharing with one of her shots, a photo that unveils the layers of silence surrounding topics such as the weight of decisions regarding abortion, the discomfort of aging, the guarded secrets of sexual orientation, struggles with anxiety and panic, the deep well of exhaustion, the personal journey through spirituality, and the shadows of grief.
Today, after months of reflection, I realize how increasingly necessary it is for everyone to have a protected space to share without fear - and perhaps this is precisely why we are facing the end of social media, but that's another story - a space where we can create a more empathetic and understanding virtual community, where we don't constantly have to fear sharing our truths and what happens in our private lives.
This is the photo Irene chose to accompany my thoughts: